BIO | BARTEZZAGHI Stefano
Docente, giornalista e saggista, insegna Semiotica e Teorie della creatività alla Iulm di Milano. Collabora con La Repubblica, L’Espresso, Vanity Fair. Autore di M. Una metronovela (Einaudi, 2015), il suo ultimo libro è La ludoteca di Babele (Utet, 2016).
Al Festival 2016 il suo intervento è stato:
La rete prima del web. Imbecillità e cultura nel labirinto di Eco
Prima dell’esistenza del World Wide Web, la rete è stata trappola, gol, griglia, enigma e, soprattutto, forma simbolica necessaria allo studio di cultura e comunicazione.
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Al Festival 2015 il suo intervento è stato:
Le parole da gioco
Arimortis, Cip, Tana, Arepo, Disarcivescovicostantinopolizzarsi, Bingo!…Una fetta del nostro vocabolario è sorta non per nominare oggetti del mondo o azioni, non per “comunicare” (nel senso più corrente della parola) ma per compiere mosse di gioco. Sono parole ancora più curiose delle altre: hanno uno statuto speciale, suonano strane, sanno mostrarci come la lingua non è solo un meccanismo per scambiarci messaggi. E persino i meccanismi, in fondo, hanno bisogno di gioco.
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Al Festival 2014 il suo intervento è stato:
Cent’anni di solitudine (interattiva). Gioco, folla solitaria e mass-media, prima e dopo l’invenzione della Rete
Egli stesso lo ha introdotto così: La cultura di massa ha prodotto la folla solitaria, i mass-media l’hanno intrattenuta. L’apparente novità degli ultimi vent’anni è l’interattività tecnologica ed elettronica, dai primi videogiochi al World Wide Web. Sfugge, perlopiù, che il modello pragmatico e già interattivo del gioco era da sempre nei media: i primi periodici francesi proponevano ai lettori il gioco enigmistico e salottiero della charade. L’invenzione del cruciverba, avvenuta nel 1913, ha sancito l’importanza della dimensione del gioco nel rapporto fra media e pubblico. Il giornale informa e sfida, educa e diverte, monologa e coinvolge.
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