BIO | GALARDI Annalisa
Managing Director di Wingage, member of GSO Company, insegna Comunicazione Pubblica e d’Impresa all’Università Cattolica di Milano, è consigliere della Fondazione Adriano Olivetti e partner di Wingage (GSO Company). Ha da sempre lavorato sia all’interno che all’esterno dell’ambito accademico, privilegiando esperienze professionali caratterizzate dalla tensione all’innovazione e dalla contaminazione tra le diverse discipline.
Al Festival 2017 il suo intervento con Carlo Turati è stato:
Le connessioni nudge: la spinta gentile verso la fiducia
“You cannot force commitment, what you can do… You nudge a little here, inspire a little there, and provide a role model. Your primary influence is the environment you create” (P. Senge). Nudge Theory: il solito inglesismo per non dire niente? Può darsi, ma proviamo a capire insieme cos’è. Immaginiamo un pedone di fronte alle strisce pedonali: non si fida e attraversa la strada molto cautamente. Consuma risorse di attenzione ed è inefficiente. E, d’altra parte, non possiamo imporgli di fidarsi. Semafori, strisce, vigili, cartelli stradali e multe ci sono da sempre, ma non è con l’imposizione delle regole, nemmeno forse con l’informazione e le sanzioni che possiamo incoraggiare gli automobilisti a rispettarlo e stimolare così in lui la fiducia. Nelle imprese funziona allo stesso modo. I comportamenti virtuosi non nascono sotto i cavoli, né possono essere imposti. Se le imprese cercano fiducia, non possono limitarsi a dire: “Da domani si collabora, tutti …tu fidati di lui, tu diventa suo amico, tutti e due sentitevi coinvolti”. Di questo si occupa la teoria del nudge. Nata nel contesto delle politiche sociali, si interroga su come incoraggiare comportamenti che non funzionerebbe imporre per editto. Il nudging lavora su territori come lo spazio, l’accessibilità, il consenso sociale; la sua azione è apparentemente marginale, ma alla lunga, aiuta tutti “i pedoni” ad attraversare serenamente la strada.
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Al Festival 2016 il suo intervento in dialogo con Carlo Turati è stato:
Comunicare, conversare, chattare. Lo storydoing e il potere delle parole
Comunicare è un’espressione aziendalmente rassicurante. Non significa né conversare, né chiacchierare e men che meno ascoltare. Eppure, tutto intorno è conversazione: mercati, persone, reti. Siamo umani e preferiamo da sempre la ‘voce umana’ della conversazione: genuina, diretta, emozionante. La comunicazione trasmette blocchi di informazioni, la conversazione le fa vibrare dentro un racconto. E la chiacchiera, infine, ci fa sentire a casa con gli amici. I tempi forse stanno cambiando: le imprese comunicano sempre più spesso di voler conversare, per correre verso un futuro fatto di ‘voci’ e non di ‘parole’, di storie e non di dati. È up-to date e nobilmente antico. Nel management si usa oggi con disinvoltura il vocabolario pre-moderno delle storie, la metafora provinciale della piazza e della chiacchiera. Chiamiamo storytelling l’arte e la tecnica del racconto. Chiamiamo storydoing la bravura dei grandi oratori di condurre gli uomini all’azione attraverso le parole. Chiamiamo conversational knowledge sharing quello che qualcuno una volta chiamò serendipità e qualcun altro, più moderno, ha definito un mondo di organizational dating. Back to the future, insomma: comunicare è rassicurante, conversare è umano, la ‘piazza delle parole’ potrebbe essere il nostro futuro.
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Al Festival 2015 il suo intervento, con Carlo Turati, è stato:
Storydoing: storie da raccontare, catturare, agire
Come faccio a sapere ciò che penso se non ascolto ciò che dico?”, diceva Karl Weick: raccontare aiuta a capire, capire aiuta a imparare, imparare aiuta ad agire. Ma, per indirizzare l’azione, è necessario che i racconti siano veri o possono essere anche sogni, speranze, abbellimenti della realtà? L’innovazione è eclettica e pesca spesso in un serbatoio di idee e di stimoli “nell’aria”: veri o falsi – e in che percentuale – poco importa a chi li frulla e li rende concreti. E’ un circolo virtuoso che parte da idee disseminate attraverso storie e, proprio dalle storie che le incorporano, legittimate. Una volta nell’aria possono essere catturate, adattate a nuovi contesti, ibridate con altre idee-storie, agite e, infine, re-immesse nel circuito delle idee, attraverso un ulteriore momento di innovazione narrativa. La vita delle imprese è ricca di storie che sono semi di futuri possibili: da chi racconta una start-up a chi gioca con nuove soluzioni e tecniche manageriali. Nessuna è completamente falsa, molte non sono completamente vere ma il punto è che senza quelle storie visionarie non ci sarebbe mai stata innovazione organizzativa.